ELETTORALIA 

Il dibattito televisivo più influente di sempre

Mai un confronto tra i candidati aveva generato una discussione così profonda sulla possibilità di sostituire uno dei due.

LORENZO COSTAGUTA
29/06/2024

 


Sono passati solo due giorni, ma possiamo già dire che quello di giovedì sera è stato il dibattito tv più influente della storia degli Stati Uniti. Dal 1960 (anno del primo confronto tra i due candidati alla presidenza, John F. Kennedy e Richard Nixon) ad oggi non è mai successo nella storia che un confronto televisivo generasse una discussione così ampia, articolata e influente sulla possibilità di sostituire un candidato alla presidenza a quattro mesi dalle elezioni.

Che si parli di questa opportunità è già una circostanza eccezionale. Se poi la cosa dovesse succedere, saremmo di fronte a un evento di una portata epocale. Slate identifica tre modi in cui il cambio in corsa di Biden potrebbe tecnicamente accadere. La prima: dimissioni del Presidente, con conseguente passaggio di consegne (e di nomination) alla vicepresidente Kamala Harris. La seconda: la rinuncia alla nomination da parte di Biden per ragioni personali, con la convention democratica di agosto che elegge un nuovo candidato. La terza: che delegati e superdelegati del Partito Democratico decidano, su ordine del partito, di non votare per Biden alla convention di agosto e di nominare un altro o altra candidato/a alla presidenza.

La realtà dei fatti è che si tratta per lo più di congetture, perché questa situazione, molto banalmente, è senza precedenti. L’unico caso storico a cui in queste ore si fa riferimento è quello di Lyndon B. Johnson, che nel marzo del 1968 annunciò a sorpresa la rinuncia a un secondo mandato. Un precedente che sembra richiamare la seconda opzione menzionata da Slate. Ma è un’analogia monca, perché i tempi dell’annuncio di LBJ resero possibile il regolare svolgersi di una primaria per la presidenza, facendo in modo che il Partito Democratico avesse tutto il tempo per scegliere con chi rimpiazzarlo, cosa che non è evidentemente il caso oggi.

Il Partito Democratico non ha buone opzioni tra cui scegliere. Qualunque cosa decida, si tratterà di un azzardo. Continuare con Biden significa cercare di resuscitare una candidatura che già prima del dibattito era in difficoltà, ma che ora è in crisi completa. Cambiare candidato sarebbe gettare alle ortiche le poche buone carte che ancora ha a disposizione, ovvero un’eccellente serie di risultati ottenuti negli ultimi quattro anni, dando di fatto ragione ai repubblicani che martellano da mesi sul fatto che Biden è un rimbambito che non avrebbe mai dovuto fare il presidente.

Se c’è una cosa odiata da tutta la politica americana, a qualunque livello e senza distinzione di partito, è l’incertezza. Il sistema politico americano vive di pianificazione di lungo termine, regole, consuetudini, sondaggi, statistiche, nel tentativo ossessivo di ridurre al minimo l’inevitabile caos che l’esercizio democratico porta con sé. Per questa ragione la situazione attuale è quanto di più snervante si possa immaginare, per la parte democratica. Cambiare candidato in questo momento comporterebbe una serie di grattacapi logistici infiniti, e non potrebbe che venire fatto senza avere idea di quelle che sarebbero le conseguenze a livello di consenso per il o la nuova candidata. Un’operazione nemmeno concepibile, senza la calamità del dibattito di giovedì.

E’ un momento di estrema volatilità, in cui fare congetture lascia davvero il tempo che trova. Potrebbero esserci svolte clamorose a giorni, così come potrebbe non succedere nulla e continuare tutto verso il rematch Biden-Trump che ci aspettavamo.  Da qualunque parte la si guardi, però, un dato è certo: oggi una nuova presidenza Trump è un passo più vicino.